di Salvo Barbagallo
Si dovrebbe parlare di sovranità violata, ma per la Sicilia questo parametro non può essere applicato essendo l’Isola “parte” del territorio nazionale e quindi sottoposta alle leggi e condizioni generali del Paese. C’è, però, uno status particolare che riguarda la Sicilia e che (da sempre) a livello di governo “centrale” non viene considerato: la Sicilia è una Regione Autonoma a Statuto Speciale, con delle norme precise che (da sempre) vengono disattese. Norme rilevanti e significative che vengono sistematicamente ignorate (volutamente o no, il senso non cambia) che finiscono con l’avere pesanti e negative ripercussioni nella vita della collettività. Da sempre. Una di queste “norme” sancite è l’articolo 21 dello Statuto Speciale Autonomistico, che così letteralmente recita:
Art. 21. — Il Presidente è Capo del Governo regionale e rappresenta la Regione. Egli rappresenta altresì nella Regione il Governo dello Stato, che può tuttavia inviare temporaneamente propri commissari per l’esplicazione di singole funzioni statali. Col rango di Ministro partecipa al Consiglio dei Ministri, con voto deliberativo nelle materie che interessano la Regione.
Ebbene, c’è subito da chiedersi se il Presidente della Regione Siciliana nei decenni passati abbia mai partecipato a una qualsiasi riunione di ministri in materia di Accordi, o Protocolli con altri Stati che riguardassero il destino o l’utilizzo militare del territorio siciliano, e, qualora fosse intervenuto (?) se mai abbia espresso una opinione in merito. Non risulta (a quel che è dato sapere) nessuna partecipazione del Presidente della Regione Siciliana quando il Governo Italiano (cioè il Consiglio dei Ministri) ha sottoscritto accordi bilaterali USA-Italia che hanno riguardato concessioni di territorio isolano per l’insediamento (stabile o temporaneo) di basi militari, e pertanto nessun avallo della Regione per quanto si è verificato dal 1950 in poi, per esempio, per l’insediamento USA a Sigonella (e anche altrove). Questo dettaglio è da ritenersi particolarmente vitale per quanto sta accadendo ora, evitando scrupolosamente di fare dietrologia, anche per quanto accaduto nel 2011 in merito agli attacchi alla Libia di Gheddafi.
La questione, è evidente, parte da lontano, dai primi accordi USA-Italia che ignorarono nel modo più completo quanto sancito il 10 febbraio del 1947 con il Trattato di pace fra l’Italia e le Potenze Alleate ed Associate, firmato dall’Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste, dal Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord, dagli Stati Uniti d’America, dalla Cina, dalla Francia, dall’Australia, dal Belgio, dalla Repubblica Sovietica Socialista di Bielorussia, dal Brasile, dal Canada, dalla Cecoslovacchia, dall’Etiopia, dalla Grecia, dall’India, dai Paesi Bassi, dalla Nuova Zelanda, dalla Polonia, dalla Repubblica Sovietica Socialista d’Ucraina, dall’Unione del Sud Africa, dalla Repubblica Federale Popolare di Jugoslavia, designate quali “Le Potenze Alleate ed Associate da una parte e l’Italia dall’altra parte, che specifica all’articolo 50, comma 3 e 4 quanto segue: Non sarà permesso alcun miglioramento o alcuna ricostruzione o estensione delle installazioni esistenti o delle fortificazioni permanenti della Sicilia e della Sardegna; In Sicilia e Sardegna è vietato all’Italia di costruire alcuna installazione o fortificazione navale, militare o per l’aeronautica militare, fatta eccezione per quelle opere destinate agli alloggiamenti di quelle forze di sicurezza, che fossero necessarie per compiti d’ordine interno”. Sorge spontaneo e immediato l’interrogativo: perché nel corso dei decenni nessuna Potenza firmataria di quel Trattato abbia mai posto il veto sulla trasformazione militare che progressivamente stava avvenendo in Sicilia, e come mai, in tempi attuali, il tanto criticato Putin per i suoi insediamenti militari in Siria non abbia mai ribattuto in riferimento agli insediamenti militari statunitensi in Sicilia? Misteri delle alchimie e degli equilibri internazionali…
Tornando alle situazioni attuali, se comprendiamo la mancata partecipazione del presidente della Regione Siciliana, Rosario Crocetta, al Consiglio Supremo di Difesa riunito al Quirinale perché “non di sua competenza”, non comprendiamo, (né giustifichiamo, a nostro avviso, ma potremmo essere anche in errore…) l’assenza al Consiglio dei Ministri di Rosario Crocetta quando si è data autorizzazione all’uso “armato” dei droni statunitensi di stanza a Sigonella. Un’assenza pericolosa, che potrebbe essere interpretata come “complice”. Ma il discorso è, soprattutto, retroattivo, oltre che attuale.
Gli insediamenti USA in Sicilia rendono specifici territori dell’Isola – da Sigonella ad Augusta, a Niscemi – “target” mondiali primari da colpire non solo in caso di conflitti bellici, ma anche in condizioni di pace. Basti pensare al terrorismo jihadista che tutti dicono di volere debellare, ma che da anni è ancora lì, ed ora si trova alle porte di casa nostra. Problematiche che chi governa la Sicilia non si è posto e non si pone, mentre sembra vincere la superficialità conoscitiva e l’indifferenza dell’ignoranza collettiva (cioè, di chi “ignora”). E per quanto riguarda Sigonella, la responsabilità non può attribuirsi soltanto al presidente Crocetta, ma anche al sindaco di Catania, Enzo Bianco, che con gli incarichi nazionali ricoperti (da ministro dell’Interno a presidente del Copaco) la condizione di pericolosità che può vivere quest’area dell’Isola – Catania capoluogo – la conosce molto bene.
Per non parlare del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, Siciliano-doc, che ciò che avviene nella sua Isola conosce altrettanto bene.